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FARINELLI e COLUSSO : La viola Scarlatta …

La viola Scarlatta … & altre storie d’amore
musiche di : Giuseppe Aldrovandini, Carlo Broschi detto "il Farinelli", Flavio Colusso, José Herrando, Domenico Scarlatti, Anonimo XVIII.

Ensemble Seicentonovecento
Maria Chiara Chizzoni, soprano
Valerio Losito, viola d’amore
Flavio Colusso, dir. al cembalo e voce recitante


«La viola Scarlatta & altre storie d’amore»
Da sempre la ricerca del nuovo è stata fonte di ‘riscoperte’ esemplari e nella ultratrentennale proposta concertistica e discografica dell’Ensemble Seicentonovecento la percezione di risonanze fra l’antico e il moderno ha giocato un ruolo primario ed è ancor oggi vivissima, anzi in crescita tanto da poter annoverare numerosi esempi internazionali di emulazioni, filiazioni, contraffazioni, in un contagio culturale che non possiamo non chiamare “scuola di pensiero” – senza sottacere dei paralleli ‘movimenti’ tendenti a riscoprire le persistenze barocche nella cultura contemporanea.

Il titolo di questo programma prende spunto dalla Serenata in forma di “fiaba musicale” per soprano voce recitante e viola d’amore che Flavio Colusso, notoriamente esperto dell’arte vocale dei castrati e in particolare di quella del mitico Farinelli (Carlo Broschi, 1705-1782), ha composto nel 2007 per il 250° anniversario di Domenico Scarlatti, morto a Madrid nel 1757. Il compositore napoletano era molto amico del celebre cantante il quale per molti anni ebbe il privilegio di “somministrare” ogni sera al re Filippo V di Spagna una serenata notturna per curare la “regia melancholia” (oggi diremmo depressione) per la quale l’unico antidoto sembrava essere la dolcezza della sua voce: nella sua favola Colusso ne suggerisce la figura reale, ideale ed onirica evocata con vocalizzi “fuori scena” e con un frammento di una celebre aria del suo repertorio. Nel Viaggio musicale in Italia Charles Burney annotò il suo incontro con l’ormai anziano Farinelli nel 1770, nella sua residenza a Bologna, riferendo che il famoso cantante «ha lasciato da molto tempo il canto, ma trae ancora divertimento dal suonare il cembalo e la viola d’amore».

Basata su un testo scritto dallo stesso Colusso nel 1977, la fiaba vuole creare un ideale ponte fra la sognante dimensione ‘notturna’ di due città europee, Venezia e Madrid, riunite nell’atmosfera ‘immaginosa’ della loggia di un antico palazzo sospeso nel tempo: Villa Lante al Gianicolo, sede dell’Ensemble Seicentonovecento, come spesso avviene nella molteplice produzione poetica e musicale del compositore romano agisce come un elemento co-autorale insieme al suo panorama, al suo pianoforte Pleyel, alla sua acustica, ai suoi interpreti e al suo pubblico fedele. La composizione, che inizia con il tradizionale incipit comune a tutte le fiabe, “C’era una volta”, è preceduta da una Dedica che ci mostra chiaramente la dimensione percettiva auspicata dal compositore: «Questa che regalerò ai miei amici / e a quelli che vorranno / sarà solo la sintesi allargata / di una sensazione».

Le “altre storie d’amore” che fanno corona a La viola scarlatta sono raccontate attraverso brani di raro ascolto: la cantata-lettera amorosa Scrivete occhi dolenti, scritta «con inchiostro di pianto» e l’arietta concertata Sperar vorrei entrambe del grande Maestro dell’Europa musicale, Giacomo Carissimi (1605-1674) il quale, con egual profondità e leggerezza mostra, della condizione degli amanti, le speranze, le ombre, le chimere; ed ancora primizie come: la Suite per sola viola d’amore di Anonimo; la cantata concertata «à Soprano con Viola d’Amore» di Giuseppe Aldrovandini (1671-1707) Ho risolto di lasciarvi, nella quale un innamorato, per non morir d’amore, decide di abbandonare i «crudi rai» della sua bella; infine, la nuova versione di Quid agis cor meum? con la quale Colusso si interroga ancora una volta sui moti del cuore facendo ‘risuonare’ il testo dell’omonimo brano spirituale del Carissimi, che apre-chiude il cerchio del percorso su «La via dell’Anima».

La viola d’amore è uno strumento ancor oggi poco frequentato e diffuso: munita di dodici corde, sei di budello e sei metalliche di risonanza (posizionate sotto il ponticello) possiede un timbro particolare che fin dall’antichità è stato definito come «dolce, affettuoso, argentino, angelico»: timbro e “voce” sono conferiti allo strumento proprio per la vibrazione per simpatia delle corde di metallo. L’origine dello strumento non è tutt’ora chiara, anche se lo stesso nome ci può indicare una strada possibile da percorrere; l’amore dello strumento non sarebbe un richiamo al dolce ed angelico suono (sebbene in passato si indulse poeticamente anche su quest’aspetto, rassomigliando le due mute di corde che vibrano all’unisono al trasporto di due cuori innamorati), ma una corruzione linguistica di “viola dei mori”. In effetti il principio delle corde di risonanza così caro agli strumenti orientali ed islamici (vedi il sitar indiano o il Kamanja Rumi arabo, per esempio) sembra essere stato applicato direttamente ad una viola da gamba soprano, e la viola d’amore (imitazione così degli strumenti “moreschi”) fa le sue prime apparizioni nell’area austro-germanica alla metà del Seicento, proprio quando l’impero ottomano fu definitivamente sconfitto dalle armate cristiane sotto le porte di Vienna, nel pieno della moda delle turcherie.

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